Considerazioni critiche sul linguaggio visivo di Renato Frosali

A cura di Gianni Bicchi, docente di Fenomenologia delle Arti Contemporanee presso l’Accademia Istituto Modartech di Pontedera (Dicembre 2009).

“La ricompensa finale della morte è non dover più morire”. Nietzsche

Analizzare i lavori artistici di Renato Frosali è un lavoro arduo quanto stimolante. E’ infatti ostico ricercare dei tratti comuni nella pittura e nella scultura di un artista guidato dallo stimolo di una continua sperimentazione, da una costante ricerca dei linguaggi estetici che lo tiene lontano da quella serialità spesso richiesta dal mercato. Ma è particolarmente interessante provare a leggere tra le righe delle sue tele, tra le pieghe delle sue sculture, cercando di intravedere una chiave di lettura, necessaria per una pittura difficile, variopinta e variegata, lontana da correnti estetiche dominanti e preconfezionate, libera di spaziare anche nelle scelte dimensionali in completa controtendenza coi dettami della commercializzazione dell’arte, proponendo sculture minute e tele monumentali, anziché il contrario.

Di particolare interesse, anche alla luce di una evoluzione estetica dell’opera dell’artista pomarancino, l’approdo a un linguaggio proprio, maturato nell’ultimo decennio.

A partire dai primi anni del 2000, quando si fa spazio in Frosali la considerazione dell’arte funeraria etrusca come fonte di grande contrasto con la moderna concezione della morte, nello stridente conflitto tra una quieta accettazione e la frustrazione contemporanea prodotta dall’incapacità di sconfiggerla.
E’ la finitezza antica che si fa rinascita, soggetti classici ritratti con linguaggio post moderno, neo barocco, in composizioni volutamente cariche, rifuggendo il minimalismo e la commerciabilità della bellezza comunemente accettata nella perfezione tecnica della linearità.

Nella forza spesso violenta delle sue tele, Frosali testimonia  l’amore per la pittura, quella figurativa sebbene stravolta ma ripulita dagli accademismi didascalici.

C’è armonia nella sovrapposizione degli strati di materia, negli impasti studiati a fondo, distesi sulla tela con ogni mezzo, con un impatto estetico allo stesso tempo grave e raffinato.
I richiami sono visibili, alle violente composizioni baconiane, agli stimoli emotivi di Lucien Freud privati della decadenza delle carni, alle trasformazioni post umane.
L’impatto iniziale lascia straniti, figure tetre all’inizio, ma quando si entra nella tela, spesso di dimensioni inattuali, si perde subito il senso di caducità e i soggetti rinascono grazie a un linguaggio pittorico contemporaneo.

Nelle figure ritratte, spesso solo volti, è superata la straziante violenza della morte imminente e le figure urlanti, consapevoli del loro stato, ricercano nuova vita ripresentandosi alla modernità. Se i corpi di Jenny Saville sono dei cadaveri imminenti, indeboliti dalla violenza e oramai non-corpi,  nelle figure di Frosali c’è ribellione a una morte oramai superata, anch’essa momento di passaggio, e c’è la forza, mai malinconica, dell’anima.  Nelle opere, dai fondi scuri, sempre elaborati, fuoriescono colori, morbidi e urlanti, distesi senza la paura di eccedere, concentrati su parti anatomiche che ritrovano linfa vitale, e mai i morti sono stati così vivi

Gianni Bicchi

Dicembre 2009

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