“Gente di Pietra”. Itinerario pittorico nel ritratto funerario etrusco

A cura di Elena Capone in occasione della personale presso il Castello di Querceto (PI) dall’Accademia Libera Natura e Cultura (2008).

Nei volti rapiti dalle statue etrusche antiche, logorate dal passare dei secoli, un percorso pittorico attraverso le inquietudini del contemporaneo che esordisce e si ispira all’ellenismo classico, nelle pitture in corpus unico della mostra “Gente di Pietra” (itinerario pittorico nel ritratto funerario etrusco).
Facce in primo piano o in contorsioni espressioniste, in scomposizione dinamica su più strati materici temporali, nelle cromie e multitonalità che scavano i livelli ‘pietrificati’ della sofferenza e dell’inconscio nella rappresentazione e indagine scenografica e spettacolare sull’emotività interiore, nella corruzione delle carni, la futilità apparente di un narcisismo sublimato, l’ozio ed il rallentamento dei tempi, la scomposizione inesorabile della materia si fa metafora dei tormenti svelati dell’anima, che si riscopre, lungo i precipizi ancestrali della corruzione dei costumi e gli scenari di un’apocalisse finale, autentica e intrisa di un umanesimo atemporale, visionario ed universale.

Una riflessione incisiva e di taglio moderno e contemporaneo, che si avvale della forza dei contrasti netti di luce in ambienti oscurati nella profonda eleganza di un nero ebano, fino alla forza innaturale e magnetica dei verdi, dei rossi accesi e dei rosa shock, nell’eleganza estrema di un’opera finale spesso di dimensioni monumentali, che si conclude nella cornice contenitiva del quadro e dell’anima, che riecheggia di ambienti neo-liberty, capovolge il rapporto ancestrale, su un asse di continuità che va dall’antichità etrusca e romana-ellenica ai tempi moderni e post-moderni, della dialettica oscillante ed irrisolta tra i vizi e le virtù ed i loro sempre più concertabili e vertiginosamente oscillanti significati.
Dall’indagine psicologica del soffocamento manifesto dell’Io, all’apatia della vita di relazione, nelle opere ispirate al tedio eterno dei sarcofaghi degli sposi nell’iconografia mortuaria etrusca, fino alla suggestione riprodotta nella luce focalizzata ed asettica sul significato stesso di conservazione di memoria del Museo, di cui si riconoscono i rimandi nelle citazioni latine, ricondotte al contemporaneo nei caratteri giornalistici anni ‘60, o all’opera dedicata al direttore del Guarnacci di Volterra Gabriele Cateni, scomparso lo scorso anno, con una sua frase riassuntiva del senso ontologico stesso dell’esistenza del Museo riportata come autografa sulla tela, le paure inconsce, i desideri, le sconfitte interiori e gli abbandoni, i vizi e la corruzione, svelano il palcoscenico di un teatro eterno, sui ritmi contemporanei di solitudine e finzione.
Dall’ultimo maestro della prima modernità Francis Bacon, fino alle contorsioni sul vuoto dell’anima di Lucian Freud, la ricerca estrema di un’identità radicale almeno temporalmente stabile nei tempi complessi che passano attraverso la scomposizione ciclica quotidiana e drammaticamente subliminale dell’Io e della materia.
Renato Frosali, intellettuale e autore toscano residente nella cittadina di Pomarance, alle porte della “Valle del Diavolo”, approda all’attuale ricerca pittorica esistenziale, dopo un lungo percorso di maestria figurativa, sperimentazioni in astrattismo e raffinate realizzazioni nel design.

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