“La Morte in Posa”

A cura di Mauro Pantani (Athena Spazio Arte), con introduzione critica di Lodovico Gierut in occasione della personale del 2009 allestita nel Museo di Arte Sacra di Massa Marittima (GR).La morte che “entra” nella vita, in una nuova semantica che obbliga alla sinergia gli stessi parametri strutturali del pensiero di filosofia, psicologia, arte e spiritualità, al ritmo delle cromie forti dei verdi, dei rosa e dei rossi su fondi neri, o nelle contorsioni delle sculture in bronzo, per una riflessione e un viaggio mentale ed emozionale, liberatorio e senza cadute di tono, nei livelli dello statuto ontologico del contemporaneo, in una forma d’arte che si innesca nella fenditura segreta e sfumata, tra temporale ed eterno, dal finito alle porte dell’infinito.


Dalla pratica etrusca dei sarcofaghi, quando si “posava da vivi” per un “ritratto che serviva dopo morti”, evidenziando una preparazione profonda all’aldilà, in contrapposizione con l’Uomo contemporaneo che affronta invece questo tema in modo superficiale e quindi “scaramantico”.

Personaggi che narrano “un percorso che affonda nella storia” per il critico Lodovico Gierut, che descrive il palcoscenico frosaliano, dove davanti ad uno specchio dall’elegante cornice nera di profondo ebano, “la nostra immagine è apparentemente deformata e ha svelato sì da dove veniamo e chi siamo stati, ma anche cosa siamo diventati…”.
I contenuti di una ricerca, nelle parole stesse di Renato Frosali, “che si delinea come indagine nei sentieri dell’ignoto e materializzazione pittorica dell’anima” . Attraverso un linguaggio contemporaneo, con colori fluorescenti, sintetici, “mutuati dalla rivoluzione Pop Art e fatti propri attraverso la suggestione percettiva del video e della rete informatica”, verso una materialità pittorica “che rifugge dal virtuosismo e dalla serialità”, nella rappresentazione unica e irripetibile dell’invisibile. Rifugge anche, sul versante della produzione scultorea, dalle dimensioni monumentali “che assegnano alla scultura un ruolo celebrativo, molto spesso privo di carica emozionale”, spiega l’artista “per privilegiare una dimensione che favorisce un contatto tattile con l’opera”. La possibilità di spostare, interagire, con la scultura, “proponendo una concezione radicale e diversa della funzione stessa del monumento”.

Dall’intuizione insieme drammatica e scenografica di una decadenza della materia, metafora, causa ed effetto insieme, delle oscillazioni dell’Io, che scardinava e rappresentava la fragilità delle certezze della società borghese di fin de siècle, intuita e svelata dalla psicoanalisi, sublimata nelle poetiche dell’espressionismo tra ‘800 e ‘900, fino alle estreme conseguenze delle deformazioni d’autore di Francis Bacon, l’originalità e la necessità del contributo di Renato Frosali, si pone nella sintesi ulteriore di una riflessione ad ampio raggio che chiama in causa anche l’Uomo antico, etrusco e romano.

Saggio e corrotto, vicino e lontano, perduto e ritrovato, guida inedita di orientamento adattivo alle scompaginazioni del cambiamento complesso in corso nel contemporaneo.
È nell’ammissione e consapevolezza stessa di una caducità delle cose terrene, nell’urgenza di una presa di consapevolezza di “ciò che è stato”, dell’imperfezione, della decadenza e del dolore, che si pone l’omaggio di Renato Frosali, recupero coraggioso della piattaforma storica, in dialogo circolare tra presente e passato, tra vizi e virtù, gioia e dolore, solitudine e passione, dove le angosce del dopo-moderno si ricompongono nel ritratto eterno di Dorian Gray, già dipinto in ogni epoca storica, dal post-moderno al moderno, al testamento atavico, della poesia eterna del tempo passato.

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